VI-III secolo a.C.
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Platone |
Il concetto di memoria ha radici molto profonde risalenti al
IV sec. a.C. con la filosofia di Platone.
Il
concetto di memoria acquista rilevanza filosofica con la dottrina
platonica secondo la quale l’anima, stimolata dalle sensazioni, ricorda le idee intuite nell'iperuranio e così conosce gli enti. Le
stesse sensazioni poi possono essere ricordate in virtù dell’anima,
che conserva in immagine ciò che essa ha subito tramite il corpo.
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Aristotele |
Aristotele
sviluppa il pensiero di Platone lasciando però cadere la tesi della
pura reminiscenza. La memoria delle sensazioni è indispensabile
perché da essa si formi il concetto. Nel De memoria Aristotele
analizza poi il processo di memorizzazione. L’atto concreto del
ricordo segna il passaggio dal movimento potenziale a quello attuale.
Il
concetto di memoria viene analizzato sia nel pensiero degli stoici
che in quello degli epicurei. I primi ripresero la dottrina
dell’impronta materiale, i secondi svilupparono piuttosto la tesi
del movimento combinandolo con l’azione dell’anima.
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Plotino |
Nella
IV Enneade, Plotino, egli confuta tutte queste teorie sulla memoria, illustrando che
secondo lui il fenomeno della memoria si spiega solo
ammettendo che alla nostra coscienza finita pervengono le visioni di
un intelletto superiore - del tutto atemporale - che vede continuamente
ciò che si manifesta di quando in quando alla coscienza sotto forma
di ricordo.
XVII-XIX secolo d.C.
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John Locke |
Nel
secondo libro del Saggio Locke nega l’esistenza di un deposito di
idee nell'anima poiché ogni idea è tale solo se accompagnata da
coscienza, quindi un’idea ricordata è soltanto il ripresentarsi
della stessa idea accompagnata dalla coscienza di essere già stata
concepita.
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Thomas Reid |
Ma
Th. Reid, nel Saggio sulla memoria, obietta a Locke che in tale
ripresentarsi, qualcosa di reale si deve pur essere conservato
nel passaggio dal passato al presente. Lo stesso Reid, peraltro,
rifiuta la tesi materialistica dell’impronta cerebrale o traccia
mnestica, poiché un fatto fisico non può spiegare il ricordo che è
un fenomeno spirituale.
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Gottfried Wilhelm von Leibniz |
A
sua volta in polemica con Locke è Leibniz, che nei Nuovi saggi
sostiene l’impossibilità di apprendere qualcosa di cui non esiste
già una qualche idea. La memoria è concepita come conservazione,
sotto forma di virtualità o di “piccole percezioni”, delle idee
che non sono più o non sono ancora “appercezioni”, cioè
percezioni consapevoli. Grazie a questa nozione della memoria fa il suo
ingresso nella filosofia occidentale la problematica dell’inconscio.
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Georg Wilhelm Friedrich Hegel |
Nello
spiritualismo e nell'idealismo tedesco è variamente rintracciabile
la presenza della dottrina leibniziana. Hegel usa largamente la
parola Erinnerung, “ricordo”, evidenziandone la componente
etimologica Inner per esprimere lo sviluppo dello spirito inteso
insieme come approfondimento ed esplicazione di potenzialità.
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Friedrich Schelling |
Non
diversamente Schelling rappresenta il passato inconsapevole dell’Io
(Idee per una filosofia della natura). Di nuovo il richiamo è a
Platone: “La filosofia per l’Io non è niente altro che
l’anamnesi.
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Henri Bergson |
La
nozione leibniziana della memoria come virtualità è largamente
presente presente in Bergson, secondo cui esiste una memoria
osservabile empiricamente e una memoria pura non soggetta a
memorizzazioni per imperfezioni o disturbi cerebrali. Questi possono
invece incidere sul ricordo attuale interpretato come inserimento
della memoria nel corpo. La memoria così non appare come flusso che
dal presente porta al passato ma piuttosto come attualizzazione del
passato che reagisce e impronta di sè l’esperienza presente. La
dottrina bergsoniana è, tra l’altro, volta a combattere
un’interpretazione materialistica della memoria quale veniva
contemporaneamente ripresa dal positivismo e dall'evoluzionismo.
L’evoluzionismo
soprattutto accentua la teoria di una memoria organica: ogni
eccitazione produrrebbe una sorta di “engramma”, una sorta di
cicatrice materiale, mentre una nuova eccitazione sarebbe in grado di
far risorgere l'engramma primitivo.
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